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Journal

Iyengar Pratica Yoga Studies

18 Settembre 2019

Yoga is an open architecture

Chiara M. Travisi


Nella dialettica tra vari metodi e scuole di yog-asana – come accade negli ambiti dove la passione e il cimento sono tanti – si sono spesso accesi agguerriti dibattiti e confronti tra varie proposte di prassi e metodo. Di contese e confronti tra vari lignaggi si trova testimonianza scritta anche in testi in lingua sanskrita o lingue vernacolari. In tempi recenti, quindi, non stupisce che anche la didattica proposta dal B.K.S. Iyengar sia stata oggetto di critica e descritta come dogmatica, rigida e poco incline al lasciar fare dell’allievo. Le istruzioni sono state interpretate come vincolanti e i props visti come una sorta di costrizione imposta al corpo.

 

Ebbene, a ben guardare, è l’esatto contrario. Vediamo perché.

Il primo prop nella pratica delle Yog-asana, e anche nell’Iyengar Yoga, è il corpo. Attraverso le diverse forme che facciamo prendere al corpo, “sformandolo” rispetto alla sua “normalità”, sperimentiamo differenti condizioni e predisposizioni non solo muscolo-scheletriche ed organiche, ma anche emotive, mentali e cognitive. Ad esempio, quando ci flettiamo in avanti (pensate a Pascimottanasana) induciamo condizioni favorevoli ad una respirazione lenta, ad un acquietamento del sistema ortosimpatico e quindi al rilassamento; quando ci flettiamo indietro senza un supporto (pensate ad Urdhva Dhanurasana) estendiamo l’addome, apriamo il torace e induciamo condizioni favorevoli ad una attivazione del sistema nervoso ortosimpatico e a un acume cognitivo; quando ci flettiamo indietro con un supporto (pensate a Viparita dandasana con sostegno), diamo sostegno all’area cardiaca ed ai polmoni, mettiamo il diaframma in condizione di estendersi e ammorbidirsi, e così via. Quando mettiamo in torsione la nostra colonna non solo massaggiamo gli organi addominali ma tonifichiamo i reni, mobilizziamo l’area dorsale, e induciamo una condizione di equilibrio mentale. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Ogni asana, come usa ripetere Prashant Iyengar, influisce in modo differente sul sistema corpo-respiro-mente (body-mind-breath) e genera processi fisiologici, organici e cognitivi specifici e differenti tra loro.

 

Ora, l’introduzione nella pratica di props aggiuntivi al corpo, di cui Iyengar è stato indubbiamente pioniere e innovatore ma che si ritrova già in pratiche ascetiche molto precedenti (si pensi ad alcune tapassya, forme di tapas, che implicavano l’uso di corde e altri “aiuti” per riuscire a non coricarsi per giorni, o alla bellissima statua ciclopica di Narasimha nel sito archeologico di Hampi, India, in cui è testimoniato l’uso di cinture per stabilizzare la posizione di meditazione seduta) ha ulteriormente ampliato la gamma di possibilità di sperimentare differenti processi e patterns di body-mind-breath. Ad esempio, se nell’esecuzione di Salamba Sarvangasana sosterrò le spalle con delle coperte ripiegate, accederò a un sistema corpo-mente-respiro diverso rispetto a quando praticherò la medesima posizione con bolsters o mattoni. Se in Trikonasana avrò il piede posteriore al muro, accederò a un sistema corpo-mente-respiro differente rispetto a quando praticherò il medesimo asana con il piede anteriore al muro. Anche qui gli esempi potrebbero andare avanti all’infinito.

 

Questa chiave di lettura ci fa uscire completamente dall’idea di un sistema di insegnamento rigido e vincolante e ancor più dalla critica di dogmatismo. Il prop non è vincolo ma è, oltre che “aiuto” per l’allievo, soprattutto possibilità di sperimentare condizioni differenti di corpo-mente-respiro.

 

Come ha efficacemente spiegato Prashant Iyengar all’ultimo Yoganusasanam (Pune, Dicembre 2018), attraverso le miriadi di varianti proposte, l’allievo impara diversi processi, ovvero come ogni variante influisca in modo diverso su corpo-respiro-mente: “[…] È importante inculcare negli allievi diversi processi perché la vita ci mette di fronte a continue variazioni e situazioni inattese e imprevedibili. Dobbiamo avere una mente aperta. Lo Yoga è un’architettura aperta e non è una cultura del fare. La cultura del fare innesca una cultura dell’ego. […] Qualunque cosa venga insegnata a lezione non deve essere presa come un dogma. Ciò che è importante è sperimentare diversi processi.”

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