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Journal

Iyengar Pratica

17 Marzo 2020

Eureka! Ho…sentito l’Iyengar Yoga

Nicol Koronel


Riflettendo sulla mia prima lezione di Iyengar Yoga, mi accorgo che posso ricordarne solo dei frammenti e forse le prime lezioni si confondono anche un po’ nel ricordo, sfumando e sovrapponendosi l’una nell’altra. La pratica dello Yoga non mi era certo nuova e seppur riconoscessi nel metodo, di cui avevo appena fatto esperienza, qualcosa di profondo e peculiare, la mia mente ha archiviato come un continuum fluido l’esperienza.
E allora vorrei raccontare del punto in cui è avvenuto lo stacco, la scoperta del nuovo, la rivelazione dell’Iyengar Yoga. Insomma la mia vera prima volta.
Tutto è successo quando le parole hanno preso un significato incarnato. Uno, uno solo e uno alla volta, nessuno porta magica che si apre svelando stanze ricolme di tesori…
I femori indietro. Dalla prima lezione, che poi non ricordo così bene, per altre centinaia di volte almeno, ho sentito la mia insegnante chiedere di portare i femori indietro.
E tutto il contenuto di questa richiesta mi è sempre risultato chiaro, (piu’ chiaro sicuramente di “non crollare dalle ascelle”, indicazione che mi si è rivelata molto tempo dopo), ne capivo le parole e il significato e pensavo anche di poterlo fare senza grosse difficoltà…
Ho compreso che non era affatto così, il giorno che ho SENTITO i miei femori andare indietro.
Ero in Uttanasana e l’esperienza era così chiara che non c’era spazio per dubbi mentali, interrogativi teorici. Era quello ed era ciò che prima non era mai stato. Un’epifania. In termini psicoanalitici e’ un insight cioè un input che genera un cambiamento.
Metto qui in relazione questi due metodi (metodo è la traduzione corretta di yoga, Patanjali, Yogasutra, a cura di F. Squarcini, Einaudi) poiché ne ho esperienza prolungata e diretta, ma soprattutto per sottolineare la qualità trasformativa che li accomuna e contraddistingue. E che ha segnato la mia vita.
Essi cambiano completamente e per sempre un modo di percepire qualcosa.

“Permetti alla tua intelligenza di penetrare uniformemente attraverso tutto il corpo fino alle sue estremità, come i raggi del sole.” (Iyengar, la vita e l opera, Ed. Mediterranee)
Iyengar ci chiede di portare intelligenza nel corpo, di abitarlo, là dove il corpo sordo non sente, attraverso la pratica portiamo consapevolezza per espandere le zone toccate dalla luce e ridurre quelle d’ombra. Dunque attraverso gli input sensoriali e gli output motori (Yogasana) possiamo intervenire sul nostro sistema corpo-mente (cognizione incarnata, secondo le nuove scienze cognitive).
Similmente Freud usa un’immagine di movimento “là dove c’è l’Es, bisogna che giunga l’Io” (Wo Es war, soll Ich werden) come ad indicare un territorio che va conquistato, bonificato…

Questa è quindi la mia personale esperienza di pratica costante e distaccata.
La ripetizione (abhyasa) è la frequentazione assidua del proprio corpo e della propria psiche; devo andare là spesso, stare in quei luoghi, farvi ritorno con assiduità…
Il distacco (Vairagya) è dall’obiettivo di progredire sempre e sempre di piu’, infatti questi momenti di comprensione non arrivano perché lo voglio (Raga), ma ripetendo e rimanendo, a gradini o a balzi, si realizzano.

Quando ho capito cosa significava portare i femori indietro ero a lezione e la mia insegnante ha detto la stessa cosa di sempre ma in un momento preciso e con delle date parole e…il mio corpo l’ha fatto. Era il momento per il mio corpo di sentire quella cosa lì.
Ci sono state tante altre epifanie.
Durante una lezione di Pranayama che non avevo voglia di fare, dopo 50 minuti passati a impormi di seguire le indicazioni, nonostante la mia mente volesse occuparsi di tutt’altro, ad un certo punto ho sentito il diaframma mollare la presa e distendersi, quando fino al respiro precedente non sapevo neanche cosa cercare. Credo sia stato lo sforzo di continuare a provare, invece che mollare, che sbrigliare l’attenzione e pensare alla lista della spesa, ad avermi portata lì.
Un’altra volta al mare, cercando di curarmi il torcicollo e un’altra ancora con così tanti props (attrezzi di supporto tipici dell’Iyengar Yoga) che mi puntellavano che la posizione sembrava quasi un’istallazione d’arte contemporanea.
E tante altre ancora….

Qualche anno fa ho sentito dire alla mia insegnante formatrice proprio quello che ho cercato di esprimere in queste ultime righe -arriva un momento in cui le posizioni si svelano, acquisiscono un senso, è un tempo assolutamente individuale, un processo che non si può accelerare, né prevedere. Alcune posizioni forse non si svelano mai e va bene così…-
Ho scritto di questo, di gradini e di balzi, per parlare di un tempo che è certamente soggettivo ma altrettanto certamente lungo, è il tempo dell’Iyengar Yoga, per cui dopo 10 anni si è ancora principianti!
Una mente svelta capisce in fretta le indicazioni e con un po’ di abitudine non è neanche così difficile ripeterle, ma il senso di questa pratica, l’insegnamento che ci viene offerto è tanto più profondo…
Per questo il prerequisito per diventare insegnanti è una lunga pratica come allievi ed io sono stata la prima a non capirlo per molto tempo. Perché usavo la testa e non il corpo.
Quando ho sentito i femori indietro, ho capito di cosa si occupa lo yoga.

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